In questa nona puntata del nostro Podcast, Giovanni Ciampaglia e Claudio Tonti danno il benvenuto a un ospite speciale: Gianluca Diegoli, fondatore del Blog [mini]marketing, manager, autore, docente e punto di riferimento per tutto il mondo del marketing in Italia.
Tra teoria e pratica, con Gianluca si è parlato di un argomento importante: la scelta di essere presenti o meno in un marketplace. È nata così una conversazione poliedrica e interessante, che abbiamo riassunto in sei domande.
“Ho un brand, devo essere presente su Amazon?” È da questa domanda che prende il via la conversazione. La risposta chiama a sé altre domande: quando si è davvero un brand? Tutti possono definirsi brand?
Essere un brand significa che è possibile attrarre persone verso una property, che sia un’app o il sito. Non vuol dire auto celebrarsi ma essere, in qualche modo, riconoscibili e autorevoli per il pubblico. Capaci di innescare il movimento.
Su piattaforme esterne come Amazon, non essere un brand non è un problema. Perché? Perché qui le persone cercano un prodotto o la risposta a una domanda piuttosto che il marchio.
Dunque, considerato che il 50% delle vendite B2C passa tramite Amazon, è naturale che essere presenti su questo tipo di piattaforme può fare la differenza. I marketplace sono, infatti, luoghi ad alto traffico che possono aiutare l’azienda a raggiungere un pubblico numericamente rilevante.
Le domande ci sono e sono molto importanti. Quali sono le tappe del Customer Journey dei miei clienti e prospect? In quale punto inserirei il o i marketplace? Quanto le vendite possono contribuire al mio modello di business? Mi interessano clienti mordi e fuggi?
Capire la situazione, l’intera distribuzione e l’ecosistema in cui ci si muove è fondamentale. Un esempio? Se si ha un prodotto “gold” e le persone hanno piacere a comprarlo direttamente sul sito di proprietà, perché lasciare la vendita ai marketplace?
In generale, la bussola per orientarsi è composta da due elementi: capire il margine che si desidera dalla vendita e avere ben chiara l’importanza che riveste per l’azienda il lifetime value (se il cliente riacquisterà e se mi interessa o conviene avere un rapporto diretto con lui).
Essere presenti in un marketplace, in particolare su Amazon, offre l’occasione di capire meglio chi sono i compratori della categoria merceologica a cui appartiene l’azienda.
Cosa offrono gli altri? Come sono posizionato a livello di prezzo? Quali prodotti mi conviene proporre? Attraverso un’analisi attenta è possibile raccogliere diverse informazioni utili.
E anche imparare: Amazon è, infatti, un maestro nell’insegnamento della vendita online. La sua gestione delle immagini e i video, nonché la capacità di strutturare contenuti volti a persuadere sono importanti lezioni che possono aiutare il business.
Senza dimenticare che i marketplace sono anche luoghi utili per incrementare la visibilità dell’azienda e dei prodotti.
Luoghi digitali come Amazon sono potenti motori di ricerca, spazi dove ci sono molte domande. E se c’è domanda per il mio prodotto o la mia categoria di prodotti significa che c’è spazio anche per me.
Se la domanda è presente, la risposta è esserci, a meno che strategicamente non si decida di snobbarla. Rischiando, però, di perdere opportunità.
Se la domanda per il prodotto che vendo non è presente, Amazon è comunque il luogo giusto dove posso crearla. Non di rado, il prodotto o la categoria vengono create in base alle domande. Ma non solo: posso anche essere in listing con concetti simili o prodotti collaterali a una determinata keyword di ricerca.
La risposta è: tantissimo. Organizzazioni a silos o che danno troppa attenzione al ROAS possono rappresentare importanti ostacoli per il successo di qualunque strategia e-commerce.
Tutta l’azienda (soprattutto il trade e il marketing, i due reparti a cui, di solito, vengono affidate le vendite online) deve aprirsi a una visione omnicanale. E non solo: il reparto e-commerce non va strutturato separatamente e non deve avere solo obiettivi quali il ROAS, ma anche comprendere l’importanza della notorietà di marca.
Un modello collaborativo omnicanale, che permette di superare quello “a comparti stagni”, aiuta ad avere obiettivi comuni e, di conseguenza, a strutturarsi strategicamente in maniera corretta.
Complici gli ultimi anni vissuti, ci sono segnali che le persone tendano a fidarsi di più, ad aspirare a una maggiore stabilità. Cercano la continuità, che è senza dubbio la parola chiave da considerare a livello marketing in questo momento storico.
Per questo, il Subscription business model sta avendo notevole successo, perché è un modello vicino alle necessità del nuovo compratore. E, dunque, andrebbe attentamente considerato da ogni azienda.
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